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Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
Edizioni CVS: La sofferenza nel Magistero di Giovanni Paolo II - 1982 - pag. 5-22

La sofferenza nel Magistero di Giovanni Paolo II

UN DONO DEL PAPA AI SOFFERENTI

La pubblicazione del volume “La sofferenza nel Magistero di Giovanni Paolo Il” nei Suoi primi quattro anni di pontificato sembra quanto mai opportuna all’inizio dell’Anno Giubilare della Redenzione. Il Santo Padre, infatti, parlando il 23 dicembre sul significato di questa celebrazione, ha indicato nella sofferenza “l’elemento costitutivo della Redenzione ”, ed ha aggiunto:
“le sofferenze umane sono patrimonio di tutti: ciascuno ha il proprio apporto da dare alla Redenzione” (n. 6). Primi fra tutti, gli ammalati.
Effettivamente, nell’azione pastorale del Santo Padre verso il mondo della sofferenza, si possono distinguere due linee ben chiare:
1) i frequenti incontri di Giovanni Paolo Il con coloro che soffrono ed il suo atteggiamento verso di essi;
2) il suo Magistero diretto a farci considerare, quale strumento di salvezza, la Croce, da cui venne a noi l’infinita misericordia del Padre celeste.

Non c’è Udienza di Giovanni Paolo II in cui non lo si veda paternamente chino verso chi soffre, delicato e comprensivo, desideroso di confortare e lenire ogni dolore umano.
Il ripetersi degli episodi del Vangelo, dove si descrive che gli ammalati sul far della sera venivano portati incontro a Gesù, nel pontificato di Papa Giovanni Paolo II è una reale consuetudine, quasi quotidiana, che meraviglia più nessuno.
Tutti ormai sanno che quando il Santo Padre scorge tra la folla un sofferente va verso di lui, infrangendo qualsiasi prassi, desideroso di quell’incontro che diventa uno scambio di doni: quello del conforto da parte del Papa e quello del sostegno da parte di chi soffre.
Che cosa dicono, infatti, questi innumerevoli ammalati che isolatamente e in gruppo accorrono a lui continuamente da tutte le parti del mondo per sentire la sua parola, avere una benedizione, poterlo toccare, in spirito di fede come la Cananea?
Dicono la loro piena soddisfazione perché trovano, nell’incontro con il Papa, aumento di fede, conforto, pace intima e profonda nell’ora del dolore che talvolta sembra non voler finire.
La parola del Papa, infatti, calda e persuasiva, scendendo su tanti cuori stanchi e provati, dona quell’arricchimento soprannaturale che è frutto caratteristico del suo mandato apostolico.
E non sono soltanto i sofferenti a trarre profitto da tali incontri del Papa con gli ammalati, ma anche gli innumerevoli partecipanti alle sue Udienze: il richiamo della Croce infatti, è per tutti invito ad affrontare la necessità di scoprire, negli orizzonti della fede, il perché del dolore e ad imparare così a valorizzare tanta umana sofferenza, vero capitale prezioso, posto dalla divina Provvidenza in mano dell’uomo per bilanciare gli enormi peccati che tanto scompiglio creano nell’intera società.
È chiaro che Giovanni Paolo Il con tutto il suo comportamento mira a farci riflettere sul perché della Croce, sulla necessità di comprendere il valore ed inserirci nelle sue dimensioni redentive proprio come ha fatto l’Immacolata a Lourdes, che iniziando il ciclo delle sue apparizioni alla sua prescelta, Bernardetta Soubirous, immediatamente, con un ampio segno di croce tracciato su se stessa mentre teneva il Crocifisso del Rosario in mano, sembrò annunciare il tema del suo intervento nella vita della Chiesa: Sono venuta a richiamare Cristo e Cristo crocifisso.
Giovanni Paolo Il, sull’esempio di Sant’Ambrogio il quale diceva che “ Cristo non lo si trova in piazza o nelle grandi vie delle città”, presenta Gesù Cristo alle genti nella croce di ogni sofferente che incontra.
Se il Magistero di Giovanni Paolo Il fosse anche soltanto racchiuso in questi significativi incontri, già avrebbe insegnato molto al nostro secolo pieno di materialismo storico e pratico, caduto nella dissacrazione più piatta, agitato da moti convulsi di una vita stanca che si agita senza trovare risposta ai suoi affannosi “perché”.
Gli incontri del Papa, infatti, hanno un preciso intendimento, rendere a tutti familiare il pensiero della Croce, la sua necessaria accettazione per essere discepoli di Cristo e farci comprendere i suoi giusti valori di espiazione e di propiziazione.
Completamento della Croce di Cristo è la nostra sofferenza, santificata dalla grazia; completamento che immediatamente proclama ed esige un allacciamento con un vertice, con un Capo che, proprio in virtù dell’intimo collegamento che realizza nella vitalità soprannaturale del Corpo Mistico, esige che le membra siano in sintonia con Lui, camminino e si offrano in Lui e con Lui.
Nel sofferente Gesù Cristo continua la Sua offerta pacificatrice; in Gesù Cristo il sofferente acquista dimensioni più ampie e nuova forza che allaccia il momento del presente dolore col cruento sacrificio del Calvario, lo estende a tutta la Chiesa e prepara i tempi futuri.
Meraviglioso disegno divino!
Il Verbo di Dio, assumendo la natura umana, dona all’uomo la possibilità più bella che con il peccato aveva perduto, quella di tornare ad essere figlio di Dio, partecipe della natura divina (cf 2 Pt 1,4).
L’uomo nel disegno salvifico di Dio viene dalla Croce santificato e a sua volta con Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, diventa salvatore e santificatore.
L’amore misericordioso del Cuore di Gesù si protende, così, verso l’uomo non soltanto per salvarlo, ma per renderlo grandemente fecondo nel piano soprannaturale, donandogli la possibilità di inserire il suo apporto, purificato e impreziosito dal dolore, nel solco della divina grazia che dal Suo Cuore divino promana come raggio luminoso che avvolge e purifica l’umanità col calore della carità.
Il “ Padre misericordioso ” (2 Cor 1,3) vuole e rende in tal modo il cuore dell’uomo partecipe della sua misericordia e lo spinge senza riserva alcuna sulla strada dell’Amore che si dona, che si sostituisce e che redime.
La parola del Papa, nei suoi numerosissimi incontri con gli ammalati si fa suadente, ripetendo, con un martellamento che obbliga a pensare, “ mi fido di voi!”, “ il Papa fa affidamento sulle vostre preghiere! “, “ Sostenete l’azione della Chiesa con la vostra preghiera e la vostra sofferenza!”.
Ma non è questo anche il programma che la Vergine Santa ha presentato a Fatima: sostenere con le preghiere e le sofferenze il Santo Padre, i Sacerdoti ed il loro sacro ministero?
Questo costantemente sono impegnati a vivere i Volontari della Sofferenza, in spirito d’ubbidienza alla Vergine Santa ed in spirito di amore verso il Papa.
Questo vogliono certamente tutti quegli ammalati che respirano la vita della Chiesa.
E la Madonna di Fatima ha dimostrato di proteggere il Papa! Basti ricordare quel terribile 13 maggio del 1981, giorno in cui la Chiesa intera, come nei tempi apostolici, era in fervida preghiera con una sola e universale invocazione: “Domine, conserva eum!”. E tra le invocazioni di tutti, furono particolarmente forti quelle dei suoi figli prediletti, i sofferenti, unite a quelle che si elevano dinanzi al SS.mo Sacramento, costantemente esposto a Jasna Göra sul “ Monte della Luce ” a Czestochowa.

La linea poi del Magistero di Giovanni Paolo Il sulla valorizzazione del dolore va da un minimo ad un massimo:
— il minimo: accettare la volontà di Dio credendo ai valori della Croce: senza sacrificio non c’è redenzione (cf Eb 9,22), né partecipazione al piano della salvezza (cf Gv 15,13);
— il massimo: offrire la propria sofferenza a Dio, scoprendo nel dolore la propria “ vocazione alla sofferenza ” che è vocazione all’amore, un amore che si dona e si sostituisce come quello del Cristo e che porta perfino ad assaporare la gioia per la vita che spunta dalla Croce.
Il Santo Padre nei suoi discorsi offre una vera pedagogia per la formazione del sofferente; una linea che, se viene integralmente percorsa, grado per grado, conduce alle più alte vette della santità.
Prendiamo in esame soltanto alcune indicazioni di questo itinerario:

1) L’ammalato ha l’esigenza di un’assistenza completa: umana e spirituale.

Assistenza anche spirituale. L’affermazione, ripetuta più volte dal Papa, si allaccia al pensiero paolino “fides ex auditu ” (Rm 10,17) e dice il diritto e il dovere dell’assistenza religiosa in qualsiasi ambiente l’ammalato sia degente, sia privata che socio-sanitario.
Tale dovere e diritto va sostenuto e sviluppato sia dove l’assistenza sanitaria è politicizzata, sia dove tale assistenza venga trascurata.
Giustamente il Papa afferma: “L’assistenza, infatti, non può ridursi all’elemento strettamente tecnico-professionale, ma deve rivolgersi a tutte le componenti dell’essere umano, e perciò anche alla sua componente spirituale. Ora, lo spirito umano è per natura sua aperto alla dimensione religiosa, la quale, anzi, si fa in genere più viva ed avvertita nel momento della malattia e della sofferenza. L’infermo, pertanto, se cristiano, desidererà la presenza accanto a sé di persone consacrate, le quali, insieme con ogni idonea prestazione tecnica, sappiano trascendere questa dimensione, per così dire, solo umana ed offrirgli, con delicatezza premurosa e paziente, la prospettiva di una speranza più vasta, quella che ci insegna la croce, a cui fu inchiodato il Figlio di Dio per la redenzione del mondo. Entro tale prospettiva ‘ogni croce – come ho avuto occasione di dire recentemente ad un gruppo di malati durante il mio pellegrinaggio in Polonia – ogni croce posta sulle spalle dell’uomo acquista una dignità umanamente inconcepibile, diventa segno di salvezza per colui che la porta ed anche per gli altri’” (18 giugno 1979)
Questo piano assistenziale globale investe l’opera di evangelizzazione e l’azione pastorale ed assistenziale che, per essere efficace, deve mirare a “delineare un progetto unitario di pastorale della salute, disponendo l’intera comunità cristiana a tale tipo di apostolato” (28 novembre 1981).
Non sono, infatti, gli ospedali e gli ambienti a lunga degenza, vere “stazioni di Dio”, e “oasi di obbligato silenzio”, in cui l’anima, sottratta dall’assillo quotidiano, può finalmente trovare se stessa e incominciare a pensare al fine per cui è stata creata?
Ma se a questo determinato ammalato venisse meno l’aiuto della parola e della testimonianza ispirata ai principi della fede, che gli deve venire da tutta la comunità cristiana, e, negli ambienti ospedalieri, dal Sacerdote e dall’intero personale assistenziale (a cominciare dal Direttore sanitario fino al portantino), chi lo potrebbe aiutare a riscoprire i tesori della fede?
Gli ammalati certamente si sono sentiti sollevati dall’ascolto di tali preziose direttive del Santo Padre, ma devono essere attenti ad esse anche le famiglie e tutti gli operatori sanitari.
Nei numerosissimi incontri con gli ammalati nella Casa “Cuore Immacolato di Maria” a Re di Novara, ove ogni anno passano circa 7.000 persone per corsi di Esercizi Spirituali, molto sovente si sente il lamento: “I Sacerdoti non hanno tempo per noi!”. In realtà, i sofferenti a stento trovano confessori e direttori di spirito. Nei loro riguardi si parte spesso da falsi presupposti: gli ammalati sono impeccabili; sono buoni; sono rassegnati!
La vita quotidiana dimostra che se vogliamo da tanto umano dolore trarre preziosi tesori di salvezza e di pace dobbiamo saper lavorare con lo scalpello della parola di Dio, che suscita la fede, la dura pietra del dolore, diventa, in virtù della passione di Nostro Signore Gesù Cristo, perla preziosa con cui si riscattano le anime restituendole al vero Signore.

2° “La sofferenza è una grande arte, che si impara soltanto con l’aiuto della grazia divina, alla scuola di Cristo crocifisso che conosce e santifica il nostro dolore” (1° agosto 1979).

Da questa esortazione, che costituisce la seconda indicazione che vogliamo sottolineare, immediatamente emergono alcuni elementi fondamentali:
È un’arte (la sofferenza) che si impara “ soltanto ”alla scuola di Cristo crocifisso.
Questo perché nessuna filosofia o ideologia risolve il grande ed angoscioso enigma del dolore e della morte (cfr. Gaudium et Spes, 18). Soltanto Gesù Cristo inserendosi con la Croce nella storia umana risolve e risponde a tali angosce dell’uomo.
Gesù infatti invita l’uomo a seguirlo portando con Lui la propria croce; anzi ne fa una condizione assoluta per essere suoi discepoli (cf Mt 16,24) perché la croce in Lui e con Lui acquista le dimensioni della redenzione del mondo e diventa pegno sicuro di risurrezione: “ dopo tre giorni risorgerò ” (Mt 20,19). È con la croce che Gesù ha salvato l’umanità; è portando la propria croce alla Sua sequela, che ogni uomo si salva e con Cristo coopera alla salvezza dei fratelli.
Gesù Cristo infatti non è soltanto “ l’esperto dei dolori” ma è il vincitore della morte, colui che ha dato alla sofferenza una finalità, un volto ed una voce ben precisi. Con Cristo il dolore diventa sacro; diventa mezzo di identificazione con Lui; mezzo per diventare sua trasparenza; diventa conforto (cf 2 Cor 1,3-4) e premio nella certezza che “ se con Cristo soffriamo, con Cristo saremo pure glorificati” (Rm 8,17).
“ Dio infatti, ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a Lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte ”(Gaudium et Spes, 18).
Gesù è il grande paziente che ci insegna pertanto l’arte del soffrire, che va dall’accettazione del dolore fino alla silenziosa e volenterosa immolazione della Croce, nella sicurezza del bene che ne deriva.
Alla scuola del divin Crocifisso, seguendolo passo per passo, si impara a soffrire
“ — con amore
— con rassegnazione
— con fiducia
— con pazienza ” (29 luglio 1979).
Stati d’animo che riflettono quelli del Cuore Sacratissimo di Gesù. Meditarli e sforzarsi di viverli in profondità, significa seguire un itinerario che porta alla vetta della perfezione dove si comprende la necessità e la fecondità della propria sofferenza, che forse isola ed annienta, ma che avvicina tanto alla passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Quanti sofferenti, seguendo Cristo nella salita del proprio Calvario, desiderano il silenzio totale attorno a sé per meglio configurarsi a Lui ed essere assieme a Lui degli apostoli che aiutano e sostengono — nella loro apparente inutilità — gli altri fratelli.
Base e condizione indispensabile di questa ascesi èla fede che illumina e sostiene: “ La fede in Cristo che non toglie la sofferenza, ma la illumina, la eleva, la purifica, la sublima, la rende valida per l’eternità— ” (25 marzo 1979).
Ad Auschwitz — campo di sterminio — sull’esempio di San Massimiliano Kolbe, ha brillato la luminosità del miracolo della Croce; l’immolazione, come amore che si sostituisce, sorpassa i reticolati e diventa luce di speranza per ogni situazione umana di sofferenza.
La fede pura e forte sostiene l’amore che inchioda alla croce più della stessa malattia; dalla croce incomincia a circolare la moneta dell’amore che redime e che diventa misericordia per tutti.
La scoperta del talento del dolore, santificato dalla croce di Cristo, è la scoperta più preziosa per la società di oggi, avvolta dal peso del materialismo che oscura i valori umani e trascendentali e che toglie all’uomo ogni speranza.
Per questo Giovanni Paolo lI con tanta fermezza afferma: “ Siate forti nella fede e abbiate sempre davanti agli occhi Gesù Crocifisso, con formandovi a Lui non solo nel portare pazientemente la sofferenza, ma anche per capire quanto feconda possa essere per voi e per gli altri. Vi auguro di poter ripetere anche voi con San Paolo: — Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa ” (20 febbraio 1980).
Senza il progresso nella fede non ci può essere nemmeno il progresso nella speranza e nella carità.
Senza totalmente aderire alla croce di Gesù Cristo che si è inserito nel mondo per alleviare la nostra croce donandole l’unico possibile significato, non si potrà mai apprendere la “grande arte della sofferenza”.

3° Tra le tante tematiche sviluppate o toccate dal Magistero di Giovanni Paolo II, ce n’è una fondamentale che mi sembra di dover ancora sottolineare: “La sofferenza è una vocazione”.

È un’affermazione bella e sublime che tutti attendevamo.
L’indicazione del Santo Padre, ripetuta diverse volte, è certamente arcana; viene dal Cielo; la potremmo paragonare alla voce del Padre che si fece udire per in-dicare la vocazione del proprio divin Figlio mentre usciva dal Giordano dopo il battesimo.
È chiaro che l’uomo non può intrinsecamente avere una vocazione al dolore, essendo il dolore in se stesso “ una disperata inutilità”. Dio non ha creato il dolore e non è stato Lui a introdurlo nella storia dell’umanità, come risulta dal protovangelo (cf Gn 3,14-19). L’uomo è
la causa del male del mondo; Dio invece è l’Eterna Carità, sempre in cammino, infinitamente geniale nelle sue manifestazioni, le quali, nei nostri riguardi, diventano espressioni della sua infinita misericordia. Egli bussa alla porta del nostro cuore perché si spalanchi al sole della sua infuocata Carità, che brucia, sana, vivifica, valorizza.
Dio autore della vita e della felicità non è quindi l’inventore della morte e della sofferenza. Dio è il creatore e non distruttore dell’uomo: “Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cf Ez 33,11).
L’uomo, con la sua libera disubbidienza a Dio, ha introdotto nella propria storia la fatica del lavoro ed il giogo del dolore e della morte.
Al di fuori di Cristo Redentore non si può parlare di vocazione del sofferente: il nulla serve a nulla; in Dio soltanto è la pienezza dell’essere e della vita.
Fin dall’inizio Dio dimostra la sua opposizione alla morte. Nella pienezza dei tempi Gesù fa risorgere i morti, ridona la salute, rimette i peccati, che sono la causa del male, ed ammonisce il peccatore “ non peccare più perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio ” (Gv 5,14).
La vocazione al dolore è vocazione all’amore (cf Disc. 12 marzo 1980), che porta cioè all’amore più vivo e più fecondo.
La vocazione al dolore consiste infatti nella chiamata ad accettare il dolore, il peso della sofferenza, per trasformarlo in sacrificio di purificazione e di pacificazione offerto al Padre in Cristo e con Cristo, per la propria ed altrui salvezza.
Non quindi ricerca del dolore per se stesso, ma accettazione del dolore per valorizzarlo in Cristo, nella consapevolezza che, se in conseguenza del peccato l’uomo porta il peso del dolore e della morte, in conseguenza della Redenzione l’uomo acquista invece la possibilità di realizzare la propria partecipazione al sacrificio che purifica, salva e riconcilia con Dio.
Il Santo Padre il 20 dicembre 1981, con tanta chiarezza afferma: “ La vostra presente sofferenza non è inutile, e tanto meno assurda. Cristo Signore, che con la nostra natura umana assunse nell’Incarnazione anche il dolore e la morte, chiama tutti gli uomini, ed in particolare voi, che siete nel dolore e nella debolezza a collaborare con Lui per la salvezza del mondo. Questa vostra misteriosa vocazione alla sofferenza è una vocazione all’amore: verso Dio Padre di misericordia, e verso gli altri, verso i fratelli. Solo la Croce di Cristo può illuminare la nostra debole intelligenza e farle intravedere il significato profondo della umana e cristiana fecondità del dolore”.
Il dolore senza l’Incarnazione del Verbo Eterno sarebbe una disperata inutilità; il dolore nel piano della salvezza diventa mezzo di salvezza, acquista valore positivo, diventa fonte di bene. Il Cristo con il proprio sacrificio unisce a sé il genere umano e gli offre il modo di compiere con Lui la continuazione dello stesso sacrificio.
L’umanità realizza questa possibilità redentiva attraverso il proprio dolore, vivificato dalla grazia. Non ha detto Gesù Cristo “se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua?” (Mt 16,24). Seguire Cristo è la nostra chiamata, ma seguirLo prendendo la propria croce, lungo la via dolorosa del Calvario, è la fondamentale vocazione dell’uomo dopo il peccato.
La pena quindi in Cristo Redentore è diventata moneta e possibilità sacrificale. La malattia e la morte, per divina disposizione, diventano mezzi positivi attraverso i quali ciascuno di noi può lanciarsi nella via dell’Amore.
Così ci esorta San Paolo a vivere questa nostra vocazione: Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12,1).
Vocazione ad offrire Se stesso era quella del Verbo Incarnato per ricongiungerci col Padre, vocazione nostra è quella di accettare il dolore e la morte per essere uniti con Cristo nostro Redentore.
Come Gesù Cristo sia andato incontro ed abbia vissuto questa sua vocazione liberamente assunta è a noi noto attraverso il Santo Vangelo; la sua spontanea volontarietà ed il suo modo di andare incontro alla croce, deve essere impegno per noi di costante confronto per vivere la nostra vocazione al dolore.
Se la vocazione al dolore fino al sacrificio totale di Se stesso è vocazione del “ Capo ” che redime ogni uomo, la stessa ed identica vocazione è pure delle membra di questo Corpo Mistico, di coloro cioè che con Lui intendono arrivare alla salvezza.
Non si equivochi sulla parola “ vocazione ” affermando che se la sofferenza fosse una inequivocabile chiamata, l’uomo dovrebbe poter essere libero di accettarla o meno.
Non dopo la caduta dei nostri progenitori possiamo ricercare tale libertà. Essa doveva essere affermata prima della caduta, restando fedeli alla legge di Dio.
La libertà della risposta per ciascun uomo sta comunque oggi nel volere o meno inserire nel piano redentivo di Cristo la ineluttabile realtà del dolore e della morte.
L’intima vocazione dell’uomo adunque è, in sintesi, vocazione alla riparazione, all’offerta del proprio dolore e della propria morte per ricongiungersi, insieme a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, al Padre e diventare nell’economia della divina misericordia “ sacrificio ” per la salvezza propria e dei fratelli.
Capire questa vocazione ad accettare la sofferenza e anche, se da Dio chiamati, ad offrirsi sull’esempio di Gesù alla divina giustizia per bilanciare in sé, con il proprio dolore, i debiti altrui, è vera sapienza cristiana che si apprende e si gusta soltanto alla scuola dello Spirito Santo che è Amore.
La Chiesa è ricca di questi eroi nascosti che vivono offrendosi con Cristo quali ostie di amore che riconciliano e salvano: questi figli della Chiesa sono la ricchezza ed il sostegno della Chiesa stessa, sono coloro che “ in modo speciale ” (L.G. 41) completano nella propria carne la passione di Nostro Signore Gesù Cristo a beneficio di tutti.
Questi figli sono ricchezza del presente e speranza del futuro.

4° La quarta indicazione data dal Santo Padre sulla valorizzazione della sofferenza che vogliamo infine sottolineare è la “ gioia nel dolore”.

Per la via della fede che è “fonte di luce e di calore per la loro vita duramente provata” (1° settembre 1982), il Papa indica ai sofferenti il traguardo della gioia nella sofferenza: “ Già solamente il vostro generoso ‘sì’ alla volontà di Dio, che spesso esula dalla nostra comprensione naturale, vi può rendere felici e vi dona, già ora, una gioia interna che non può essere distrutta da nessuna difficoltà esteriore ” (4 novembre 1981).
Ma è soprattutto con lo sguardo a Gesù Crocifisso che si può vedere nel dolore “ una occasione privilegiata di espiazione, di purificazione e di elevazione spirituale ”e si impara a “saperlo affrontare con fortezza e anche con gioia, come esclama l’apostolo Paolo: — Sovrabbondo di gioia in mezzo alle tribolazioni — (2 Cor 7,4)”.
La gioia nel dolore è unita, infatti, prima di tutto, alla nuova prospettiva che in Cristo esso ha acquistato.
Da entità negativa e distruttrice il dolore in Cristo acquista possibilità costruttive di conquista.
Gioia quindi per il mezzo che è stato posto dalla Misericordia di Dio a disposizione dell’uomo.
Gioia per le possibilità dischiuse alle visuali soprannaturali di ogni creatura.
Gioia per la Vita che si conquista e che si dona.
Gioia per le possibilità sociali e missionarie che il dolore dischiude.
Per comprendere questa fecondità spirituale che muta la solitudine in fervida attività “ ci vuole — dice il Santo Padre — un occhio puro e un cuore che ama ” (28 febbraio 1979); un occhio non avvizzito dal peccato, come l’ambiente naturalizzato e materialistico spesso lo riduce, impedendo a chi soffre le visuali ultraterrene.
L’anima di chi vive in tali prospettive diventa attratta da due poli: Dio che vuole effondere la Sua infinita misericordia sulle anime e l’anima che attratta dalla vischiosità del peccato si oppone all’attrattiva di Dio.
Spesso tali situazioni vengono risolte da altre anime, che vivendo con Cristo la propria passione, spinte dall’amore dello Spirito Santo, si offrono con amore di sostituzione, consapevoli che non esiste amore più grande che dare la vita per i fratelli (cf. Gv 15,13).
La croce naturalizzata porta infatti all’amore più puro, all’amore dimentico di sé, all’amore verso gli altri.
Tale grado di amore che ci unisce a quello di Cristo fino all’eroismo è tutt’altro che raro. Basti scorrere la vita di tanti sofferenti, vissuti accanto a noi, per convincercene.
Il Servo di Dio, Giunio Tinarelli, Silenzioso Operaio della Croce, morto in concetto di santità, non soltanto afferma la gioia nella sofferenza, ma va oltre, affermando di gustarla e di essere felice, indicando in questa maniera l’azione profonda dello Spirito Santo che lo portava a gustare nella carità il sacrificio totale di se stesso nella volontà di Dio.
Scriveva ad una sorella di sofferenza il 29 aprile 1949: “ Chi si abbandona completamente al Signore non conosce più sofferenze, non sente più il grave peso della croce che gli è stata assegnata, ma bensì ha la gioia di gustare la sofferenza, è felice di essere crocifisso vicino a Gesù. Oh com’è bello tutto ciò!”.
Così pure la Serva di Dio Suor Faustina, l’apostola dell’Amore Misericordioso, vissuta a Wilno, la sera del 1° gennaio 1938 scriveva nel suo diario: “ Salve, anno nuovo in cui verrà completato il mio perfezionamento! Signore, ti rendo grazie già in anticipo per tutto quello che mi manderà la tua bontà. Ti ringrazio per il calice delle sofferenze quotidiane: non diminuirne l’amarezza, ma fortifica la mia bocca onde, nel bere l’amaro, sappia sorridere per amor tuo, Maestro. Ti ringrazio per tutte le consolazioni e grazie che non sono capace di enumerare... e che solo tu ed io conosciamo. Te ne rendo grazie fin da oggi, perché forse, nel momento in cui mi porgerai il calice, il mio cuore non sarà in grado di farlo! ” (Maria Winowska, “ L’Icona dell’Amore Misericordioso”, Ed. Paoline, Roma 1981, p. 308).
Un anno prima della sua morte, verso il Natale del 1937, ad una Sorella della Comunità, Suor Faustina disse: “Nel momento delle crisi più acute vado in spirito al Tabernacolo, prendo il ciborio, prego, soffro e piango e quando il calice è pieno di lacrime mi sento meglio e sono felice vicino al Signore ” (Ivi, p. 309).
Nel dolore che si offre nulla va perduto, tutto si tramuta in Amore che si dona per la diffusione e l’affermazione della misericordia di Dio.
I Santi, le anime elette, hanno scoperto queste perle preziose ed hanno stimato un nulla i beni caduchi della terra e del corpo, di fronte a queste possibilità che non si perdono con la cessazione dell’esistenza terrena.
Non spavalderia in tali anime, o negazione della pesantezza della croce, ma ad imitazione del Cristo agonizzante nell’Orto degli Ulivi o paziente nel martirio della passione, tali anime vivono l’umile accettazione ed offerta che le identifica con quella del Calvario. Esse sono, in realtà, le sostenitrici e costruttrici delle Chiese che si ripopolano di altre anime proprio perché anime sorelle si sono offerte per loro.
Con tanta comprensione il Papa rivolgendosi agli infermi, disse, nella Cattedrale di Rimini il 29 agosto 1982:
“ Carissimi fratelli e sorelle, oggi questa Chiesa è piena di voi. Vorrei dirvi però che essa è sempre piena di voi. Voi siete qui presenti in un modo del tutto speciale, forse più degli altri, perché voi siete vicinissimi a Cristo crocifisso. Questo è il mistero di Dio che ci ha voluto salvare per mezzo dell’umiliazione, della crocifissione del Suo Figlio, il Verbo di Dio fatto uomo. Ecco, oggi questa chiesa, piena di voi fisicamente, ma anche sempre piena di voi misticamente, voi la costruite in modo del tutto speciale, perché voi siete gli eredi, gli eredi privilegiati delle sofferenze di Cristo, della sua Croce”.
Il mondo ha bisogno di essere salvato, ma questa salvezza, come sempre, verrà dalla Croce, così nel Piano della Salvezza, così nell’invito dell’Immacolata a Lourdes ed a Fatima, così il Papa a tutti i sofferenti: “ Vi abbraccio tutti, non posso farlo fisicamente, ma vi abbraccio con il cuore. Raccomando a voi, alla vostra preghiera e alle vostre sofferenze tutta la Chiesa. Carissimi, il Signore Gesù ha sperimentato la sofferenza e ha portato la Croce, accettando volontariamente i disegni di Dio Padre e così ha salvato il mondo. Anche voi, quando per amore accettate la Croce e la sofferenza che vi sono state offerte dai disegni misteriosi di Dio Padre, diventate portatori di salvezza, assieme a Cristo ” (23 settembre 1981, ai Volontari della Sofferenza di Brescia).
Concludiamo con una sintesi sulla missione del sofferente, presentata dallo stesso Santo Padre l’il febbraio 1979: “ Cristo che dice all’uomo sofferente: — vieni e seguimi —‘ è lo stesso Cristo che soffre: Cristo del Getsemani, Cristo flagellato, Cristo incoronato di spine, Cristo sulla via della croce, Cristo in croce... .t lo stesso Cristo, che fino in fondo ha bevuto il calice della sofferenza umana datogli dal Padre (cf Gv 18,11). Lo stesso Cristo, che ha assunto tutto il male della condizione umana sulla terra tranne il peccato, per ritrarne il bene salvifico: il bene della redenzione, il bene della purificazione e della riconciliazione con Dio, il bene della grazia. Se dice a ciascuno di voi, cari Fratelli e Sorelle: ‘Vieni e seguimi vi invita e vi chiama a partecipare alla stessa trasformazione, alla stessa trasmutazione del male della sofferenza in bene salvifico: della redenzione, della grazia, della purificazione, della conversione.., per sé e per gli altri. Proprio per questo, San Paolo, che voleva essere così appassionatamente imitatore di Cristo, afferma in un altro luogo: — Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo — (Col 1,24). Ciascuno di voi può, di queste parole, fare l’essenza della propria vita e della propria vocazione. Vi auguro una tale trasformazione che è‘un miracolo interiore ancor più grande del miracolo della guarigione; questa trasformazione, che corrisponde alla normale via dell’economia salvifica di Dio, come ce l’ha presentata Gesù Cristo. Vi auguro questa grazia e la imploro su ciascuno di voi, cari Fratelli e Sorelle”.
Grazie, Santo Padre, per il dono prezioso di queste Vostre lezioni sul dolore, frutto dello Spirito e di una personale e dolorosa esperienza. Reso, da mano sacri-lega, infermo con gli infermi, Vi siete fatto, in comunione con Cristo crocifisso, e con Maria SS.ma, Madre e sostegno della Chiesa ai piedi della croce, portatore di un efficace messaggio di speranza a tutti quelli che soffrono.

Sac. Luigi Novarese