Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
Edizioni CVS: La presenza del malato nella società - 1972 - pag. 53-69
La presenza del malato nella società
IL MALATO DI FRONTE A SE STESSO
Mons. LUIGI NOVARESE - Direttore Centro Studi Volontari della Sofferenza
Il tema di questo incontro “ il malato di fronte a se stesso ” se lo
inseriamo nelle vaste tematiche che toccano l’uomo, soggetto di studio, di
lavoro e di scoperte, può sembrare destinato a far maggiormente sentire un peso
nuovo a chi già e toccato dalla sofferenza, un peso più pungente della stessa
malattia, il peso del confronto.
Pericolosità di un confronto
Nel confronto che noi volessimo stabilire tra chi è privo della salute e
quindi condizionato e magari precluso anche nelle sue più profonde aspirazioni,
e chi, libero di sé, dispone come meglio crede della propria persona, dei propri
affetti e del tempo libero, il sofferente può realmente apparire, e può darsi
anche che egli stesso si senta come un escluso dalla società, un essere inutile
a cui ciò che si dà lo si dà per pura compassione.
La corsa al benessere e l’emancipazione da un sano controllo dei propri istinti
rendono più penose le condizioni di chi soffre, proprio perché il confronto in
questo caso si fa più marcato; da una parte esistono il lecito e l’illecito,
dall’altra invece, mancano spesso perfino i presupposti per una umana e sociale
affermazione. Nel primo caso c’è l’emancipazione da qualsiasi legge, dall’altro
si stabilisce uno stato di dipendenza dalla buona volontà altrui che spesso
avvilisce e rende ancora più pesante la propria condizione.
Di fronte all’angoscia del confronto il sofferente potrebbe anche cadere nella
più profonda disperazione o andare alla ricerca di evasioni con il ricorso a
compromessi che abbrutiscono ancora di più della malattia stessa e lasciano in
lui un vuoto desolato e desolante.
Il sofferente ha bisogno di sostegno
L’ammalato proprio perché toccato dalla sofferenza e quindi debilitato nelle
sue possibilità di scelta e di equilibrio ha bisogno di sostegno, di indirizzo,
di una parola sicura che risponda agli angosciosi perché della sua sofferenza
per poter continuare a sentirsi un uomo maturo libero inserito in una società
che ancora ha bisogno di lui anche se ammalato.
Noi ci domandiamo: è l’attività assistenziale di tutti gli operatori di salute
in condizioni di poter andare incontro al sofferente e dargli non soltanto un
farmaco che guarisce ma altresì un sostegno che lo aiuti a superare almeno il
momento cruciale dell’esistenza, quando cioè nella realtà attuale della sua
malattia, che in lui si stabilisce magari in forma permanente, si vede costretto
a fare un serio e sconcertante bilancio tra quel che era e le forze residue, tra
l’attività che svolgeva o avrebbe voluto svolgere e quanto può ancora fare?
L’ammalato vertice dell’assistenza sanitaria
Certamente in piano assistenziale — studio ed applicazione — l’ammalato è al
vertice di ogni attenzione: alleviare la sua sofferenza, aiutarlo a superare
fisicamente il periodo acuto della malattia è preciso proposito di ogni
operatore di salute.
In realtà però, volendo portare la nostra disanima fino in fondo, possiamo noi
sinceramente affermare che l’ammalato è costantemente avvicinato dalle diverse
categorie degli operatori di salute con quella attenzione di rispetto che è
dovuta ad una creatura che non cessa di essere soggetto di azione e di sostegno
della società anche con la stessa morte?
Viene il sofferente sempre considerato nella sua unità personale ed inscindibile
di anima e di corpo?
La legge sanitaria italiana — legge quadro e leggi delegate — parte dal
presupposto del servizio che va reso all’uomo sofferente, non soltanto curandolo
nella lesione biologica, ma anche considerandolo nella sua integrità di creatura
composta di anima e di corpo e quindi con esigenze fisiche e con esigenze
spirituali.
Ne viene naturale la deduzione che tali positive disposizioni riguardano non
soltanto i vari ministri di culto ma anche tutti coloro che operano negli Enti
Ospedalieri.
Ma possiamo noi ancora dedurre che la disposizione riguardante l’assistenza
spirituale sia da applicarsi unicamente allorché l’infermo è in pericolo di
morte?
No certamente perché la legislazione sanitaria prevede per l’ammalato
nell’ambito dell’assistenza controllata dallo Stato un’assistenza spirituale
continua, che si estende per tutto il periodo della sua degenza lungo e breve
che sia.
E tale assistenza va prestata dai Ministri del culto cattolico per i cattolici o
dai diversi ministri degli altri culti per gli acattolici.
Se lo Stato adunque considera l’ammalato nelle sue due massime componenti
costitutive di anima e di corpo ciò significa che la stessa maturazione dei
tempi esige che quanti operano nell’ambito della salute individuale e collettiva
tengano presente questo criterio essenziale dell’uomo sancito dalla legge
prescindendo dalle stesse concezioni filosofiche o di fede di chi amministra,
tutela o svolge l’opera assistenziale.
Difficoltà in cui spesso s’incontra l’ammalato
Dobbiamo qui per debito di verità far rilevare che le massicce forme
materialiste dell’impostazione assistenziale del secolo scorso sono quasi del
tutto tramontate.
Altri sistemi e metodi sono però subentrati che grandemente offendono e ledono
la dignità dell’uomo che, posto di fronte a se stesso ed al proprio male,
ansiosamente cerca il perché del proprio dolore con la legittima aspirazione di
restare ancora soggetto attivo nella società.
Tra questi possiamo citare, sia pure in forma brevissima ed incompleta, i
seguenti:
1) la stessa tecnologia della diagnostica per il verdetto finale, che porta il
paziente di fronte allo specialista, il quale nel prestare la propria opera
specializzata non sempre ha dinanzi l’intero quadro della situazione del malato
nella sua complessità umana, familiare e sociale.
Sua Santità Paolo VI non esita ad affermare che i “ progressi scientifici più
straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più
prodigiosa, se non congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si
rivolgono, in definitiva, contro l’uomo” (Paolo VI alla FAO, 1970);
2) il modo con cui viene svolta attualmente la assistenza mutualistica, sia per
l’impossibilità in cui si trova il paziente di operare una scelta di
prestazione, sia per la molteplicità dei casi che si presentano al curante, il
quale finisce col trovarsi nella materiale impossibilità di intavolare con ogni
paziente un qualsiasi dialogo;
3) il paternalismo che sa tutto e provvede a tutto, senza minimamente adeguarsi
alla psicologia del paziente, il quale ansiosamente cerca di conoscere la verità
ed il perché di determinati interventi;
4) il naturalismo che mira a sollevare le pene fisiche senza badare affatto alle
esigenze dello spirito e spinge fino a tacere la verità o, talvolta a ricorrere
a menzogne pietose, anche quando si sa benissimo che umanamente il male ha un
decorso definito e catastrofico per l’organismo;
5) la falsa pietà dei familiari che si uniscono ai sanitari nella congiura del
silenzio e delle menzogne nei riguardi del proprio congiunto;
6) le condizioni stesse del lavoro che costringono le famiglie a dividersi,
separarsi, lasciando i membri più deboli e più bisognosi di cura, quali i vecchi
e gli incurabili, a carico dell’assistenza collettiva;
7) il materialismo pratico per cui l’individuo si crede autosufficiente.
Ideologia però questa che non regge, perché non può dare una risposta ai vari
perché della sofferenza;
8) la falsa accondiscendenza nell’accontentare chi soffre, concedendo quanto la
morale nega e precludendo in tale maniera il cammino per una seria e solida
impostazione di vita cristiana, che potrebbe liberare da tutti i complessi e
portare ad una vera maturità interiore;
9) una falsa concezione della libertà che, negli Enti Ospedalieri mira a
confondere l’idea della necessaria e legalmente dovuta attività religiosa con
l’attività politica, rendendo così più difficile e meno efficace un apporto
ministeriale che tornerebbe di vero conforto a chi soffre.
Queste, in grandi linee, sono le componenti dinanzi alle quali l’uomo viene a
trovarsi allorché è colpito dalla sofferenza.
Impegno di aiuto
Se noi quindi vogliamo lavorare per risolvere convenientemente queste
situazioni di disagio nelle quali viene a trovarsi l’ammalato per i sistemi e
metodi sopra elencati, non solo dobbiamo risalire seriamente alle cause di tali
inconvenienti, ma anche farci portavoce di tali necessità verso l’opinione
pubblica, ed in ciò troviamo punti concreti di contatto, di indagine e di lavoro
che possono utilmente essere stabiliti tra l’UNAMSI ed il nostro Centro
Volontari della Sofferenza.
Caratteristica del nostro tempo: sete di Dio
La caratteristica, del resto, del tempo che viviamo manifesta negli animi
una sete insaziabile del divino, dell’ultraterreno, sino al punto da spingere al
ricorso alla superstizione ed alla magia, allorché si vuole escludere Dio.
“ E’ facile — afferma il Santo Padre — osservare che oggi l’uomo sia intimamente
insoddisfatto, spesso oppresso dal dubbio, dalla noia, dalla nausea, dalla
infelicità e sovente anche da una muta e tormentata disperazione interiore. E si
spiega, se si osserva come l’uomo moderno abbia smarrito le ragioni superiori
—nel campo dell’Essere — e profonde nel campo del cuore — che consentono una
valutazione ottimistica del mondo e della vita. La fiducia, quella che resiste
alle prove della nostra terrena esistenza, le quali sono pur molte e gravi, si
trova alla confluenza di due virtù teologali. di cui purtroppo il mondo
contemporaneo poco si cura: la fede e la speranza ” (Paolo VI, Pasqua 1969).
“La ricerca, si può dire, definisce la vita moderna — osserva Sua Santità Paolo
VI —. Perché allora, si chiede ancora il Papa, non cercare Dio? Non è egli un
“Valore” che merita la nostra ricerca? Non è forse una Realtà che esige una
conoscenza migliore di quella puramente nominale di uso corrente? Migliore di
quella superstiziosa e fantastica di certe forme religiose, che appunto dobbiamo
o respingere perché false, o purificare perché imperfette? Migliore di quella
che pensa di essere già abbastanza informata e dimentica che Dio è ineffabile,
che Dio è mistero e che conoscere Dio è per noi ragione di vita, di vita eterna?
” (Paolo VI, 26, VIII, 1970).
Volendo noi spingere l’indagine fino in fondo dobbiamo pure farci la domanda:
— E’ tenuto l’operatore di salute ad affrontare i problemi psicologici, morali e
sociali, in cui l’ammalato viene a trovarsi?
La risposta non può essere che positiva e colui che opera vuole sostenere, come
è suo dovere, l’intera persona umana in un momento di anormalità della vita che
può anche protrarsi a lungo e concludersi magari con la morte.
I problemi vanno quindi impostati e risolti alla luce di principi validi e
sicuri che diano piena risposta alle vaste problematiche di chi soffre,
rifuggendo da quelle risposte comode e facili che non sono in armonia con le
finalità totali dell’uomo, anche se per fare ciò si incontra fatica e magari
impopolarità.
Il problema del dolore non è un problema che offre molte soluzioni perché
soltanto Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, vissuto in epoca ben precisa e
controllabile, “ha chiamato il dolore ad uscire dalla sua disperata inutilità e
a diventare fonte positiva di bene”. (Paolo VI - Venerdì Santo 1964).
Se l’assistenza vuole applicarsi in piano totale non si può prescindere dalla
ricerca di Dio, di Dio Creatore e Redentore, che sacrifica il proprio Figlio per
elevare le condizioni della umanità caduta, per dare ad ogni uomo la possibilità
di chiamarlo Padre, per risolvere tutti, numericamente tutti gli angosciosi
perché della natura umana, corrotta, sottomessa all’impulso delle passioni ed
all’angoscia della morte.
La realtà di Dio va quindi ricercata, studiata, meditata, ed infine accettata
sulle basi della ragione, della storia ed infine della fede.
Chi in pieno secolo XX osa mettere in dubbio, in piano scientifico, la storicità
di Nostro Signore Gesù Cristo?
Sulle indagini dell’osservazione, l’uomo posto dinanzi a se stesso, finisce con
l’incrociare i suoi passi con quelli di Dio che gli viene incontro, e da
quell’incontro avrà inizio la sua vera promozione umana, spunterà la vita che
non tramonta, cesserà l’incubo della morte: sono gli orizzonti della Redenzione
dischiusi dal Cristo agli uomini di buona volontà.
L’uomo che si incontra con Dio diventa allora felice della stessa felicità di
Dio, perché partecipe della Sua vita divina.
“ Dio è necessario — esclama il Santo Padre ¾ perché Egli esiste; Egli è vivo, è
vero; Egli è il nostro Creatore ed il nostro Padre amoroso e vegliante ”(Paolo
VI, 29-VIlI, 1967).
Dio è quindi la realtà che va ricercata di fronte a tutti i problemi, di fronte
alle angustie e difficoltà di ogni genere, perché LUI solo è l’autore di quanto
vediamo ed il riparatore di quanto la malizia dell’uomo ha rovinato.
L’operatore di salute, proprio perché uomo e uomo progredito e consapevole, non
può e non deve operare soltanto sul corpo prescindendo e dimenticando che il
paziente, dall’intimo delle proprie esigenze cerca di sapere la verità, senza
vili compatimenti o bugie pietistiche, desideroso di poter affrontare la sua
nuova situazione con vera consapevolezza, nella volontà di superarla per
rendersi ancora utile alla società, in cui è inserito.
E’ possibile ciò?
Dobbiamo riconoscere che “ ad un esame superficiale, l’uomo di oggi può apparire
sempre più estraneo a tutto ciò che è di ordine religioso e spirituale.
Cosciente dei progressi della scienza e della tecnica, inebriato dai successi
spettacolari nei campi fin qui inesplorati, egli sembra aver divinizzato la sua
propria potenza e volere sostituirsi a Dio. Ma dietro questa scena grandiosa è
facile scoprire le voci profonde di questo mondo moderno, anche se toccato dallo
spirito e dalla grazia”. (Paolo VI, 30 giugno 1963).
“Immersi in così contrastanti condizioni — sono ancora parole del Papa —
moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i
valori perenni e di armonizzarli dovutamente con quelli che man mano si
scoprono. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la
speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo,
il quale sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta. (Paolo VI, 7
dicembre 1965).
“ E’ innegabile che una mente illuminata ed arricchita dalle moderne conoscenze
scientifiche, la quale valuti serenamente questo problema, è portata a rompere
il cerchio di una materia del tutto indipendente e autoctona o perché increata o
perché creatasi da sé, e a risalire ad uno Spirito Creatore che si dispiegò
nell’universo chiamando all’esistenza con un gesto di amore generoso la materia
esuberante di energia ” (Pio XII, 21 novembre 1951).
Proprio per questo motivo Sua Santità Paolo VI afferma:
“ Vi esortiamo a mettere sempre al primo posto, tra le componenti essenziali di
cotesta formazione completa, il dovere religioso, che è quello che sublima
l’uomo e gli fa raggiungere la sua piena statura nel tempo e per l’eternità;
vogliamo dire la fede, che, come ha sottolineato il Concilio, “ tutto illumina
con una luce. nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale
dell’uomo e perciò guida lo spirito verso soluzioni pienamente umane ” (Gaudium
et Spes, 11); una forte, convinta, profonda, matura, nutrita di solidi -
fondamenti di dottrina; alimentata alla fonte stessa della vita, - che è Cristo-
Gesù vivente nella Chiesa; proiettata in una- testimonianza costante di coerenza
anche- esteriore, espressa nel -dominio. di sé, nella lotta contro le passioni,
nell’esercizio delle virtù, specie della carità” (Paolo VI - 2.X.1968).
Il Cristo ridona a noi le dimensioni perdute
Appare perciò evidente che la fede nostra non è radicata su una concezione
filosofica, ma sul Cristo, “ pietra angolare ” (I Petr. II. 6), luce e vita che
trasforma.
L’accettazione del Vangelo, studiato e meditato sulle sue basi storiche e
divine, “ rimane, oggi come ieri, il vero tesoro, la chiave della vera felicità,
la verità decisiva dell’esistenza che permette agli uomini prudenti di costruire
la loro dimora senza timore delle burrasche (Cfr. Mt. 7, 24), senza paventare le
gigantesche mutazioni che scuotono la civiltà ”. (Paolo VI -21 settembre 1968).
Il Cristo va incontro a tutti, ma in modo particolare a chi soffre, proclamando
della sofferenza una beatitudine (Mat. V, 5), identificandosi infine col
sofferente: “ fui ammalato e mi visitasti ” (Mt. XXV, 36).
“ Non c’è valore umano che Egli non abbia rispettato, sollevato e redento. Non
c’è sofferenza umana che Egli non abbia compresa, condivisa, valorizzata. Non c
e bisogno umano, che non sia difetto morale, Egli non abbia assunto e sofferto
in Se stesso, e proposto al genio e al cuore degli uomini come tema d’interesse
e di amore, quasi condizione della loro stessa salvezza. Anche per il male, che
gli medico dell’umanità ha conosciuto e denunciato con insuperabile vigore, ha
avuto infinita pietà fino a far scaturire, mediante la grazia, nel cuore
dell’uomo, ineffabili sorgenti di redenzione e di vita ”. (Paolo VI - 5.1.1964).
L’ammalato dunque, di fronte a se stesso, se vuole trovare promozioni valide e
acquisire orizzonti nuovi, con dimensioni sociali che si proiettano anche nelle
realtà ultraterrene, deve incontrarsi col Cristo.
“ Noi sappiamo donde parte il nostro cammino, quale via intende percorrere e
quale meta vorrà proporsi sul piano della storia terrena, nel tempo e nel mondo
di questa vita presente, da orientarsi al traguardo finale e supremo che
sappiamo non dover mancare al termine del nostro pellegrinaggio ” (Paolo VI
-1963 - aprile).
E noi lo sappiamo da Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, appartenuto alla storia
dei nostri secoli, il quale ha dato una risposta agli angosciosi perché della
sofferenza e della morte e ha insegnato a tutti, malati ed operatori di salute,
come comportarsi nelle varie circostanze della vita.
E’ Lui il divin medico che si china sulle ferite e solleva lo spirito,
proponendoci l’esempio del buon Samaritano che non si limita ad un intervento
momentaneo e relativo, ma si prende cura di tutta la persona del povero
malcapitato sulla via di Gerico.
E’ Lui che sanando lo storpio gli dice anche di non ritornare al peccato per non
avere mali peggiori.
E’ il Cristo che con la Sua risurrezione ci assicura che egli ha vinto l’enigma
della morte. Donandoci Egli la Sua grazia, che è partecipazione alla vita
divina, ci offre il mezzo di vivere uniti a Lui per l’eternità.
Con la grazia che è in noi, ci offre la possibilità di operare le stesse
meraviglie da Lui compiute e di inserirci attivamente nella vita del Suo Corpo
Mistico, anche restando isolati nell’angolo più abbandonato di una stanza di
ospedale; ad una condizione: che si creda e si rimanga uniti a Lui.
Inoltre avendo il Cristo associato al piano di salvezza Maria Ss.ma, sua e
nostra madre, ha voluto dimostrare con quanta delicatezza materna desidera che
sia accostato ed assistito l’ammalato, membro sofferente del Corpo Mistico.
In Lui e da Lui, dunque, tutti, operatori di salute e sofferenti, possono
ricevere luce ed insegnamento.
Il Cristo positivamente vuole la nostra felicità
Gesù mira a stabilire l’uomo, qualunque sia la sua condizione, nella più grande
felicità, al punto di poter esclamare secondo l’affermazione di San Paolo:
“ sovrabbondo di gaudio nelle mie tribolazioni ” (Il Rom. Cor. VII, 2-4).
L’uomo che si incontra con Dio è felice della sua stessa felicità: “ felice, non
già per le forme esteriori e temporali, di cui si riveste la felicità umana,
oggi straziata dalle contestazioni che sorgono dal suo stesso cuore e che ne
svelano l’insufficienza, l’insussistenza, l’ingiustizia e la caducità, ma per le
ragioni invincibili su cui è fondato, ragioni dell’infinita felicità di Dio che
si irradia in amore sul panorama umano e vi semina le sue scintille ” (Paolo VI,
Messaggio Pasquale, 1969).
Dio ci è necessario... “ quel Dio, che tanti dimenticano, tanti insultano, tanti
negano, altri vogliono morto e sepolto, difende per sé e difenderà per noi
moderni la teologia della sua gloria e della nostra salvezza ”. (Paolo VI, 29
agosto 1967).
Dio ha bisogno di noi
Ma Dio ha bisogno anche di noi, sani o sofferenti, proprio perché ha deposto
come un lievito dentro il nostro animo il seme della redenzione, chiamandoci a
vivere con il Suo Divin Figlio ed in Lui la nostra giornata di sofferenza —
fisica o morale — in continuazione e completamento della passione che Egli nella
parasceve di XX secoli fa ha compiuto.
In questo inserimento umano e soprannaturale l’ammalato non è più nè solo, nè
inutile: egli è la trasparenza del Cristo.
Soltanto operando in questa luce il sofferente acquista la sua completa maturità
e la sua più grande socialità.
Egli diventa un artefice -insostituibile della costruzione del Regno di Dio,
perché il Cristo “ ha tramutato il dolore in moneta di acquisto, in prezzo di
riscatto, in pegno di risurrezione e di vita ” (Paolo VI -Venerdì Santo 1972).
Il sofferente, accanto al Divin Redentore ed alla Immacolata, diventa un vero
benefattore della società, unendo la sua passione all’atto più sociale che mai
sia stato compiuto su questa terra, la passione del Cristo.
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