Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
L’Ancora: n. 5/6 - maggio/giugno 1972 - pag. n. 4-8
IL MALATO DI FRONTE A SE STESSO
Pericolosità di un confronto
Il tema di questo incontro « il malato di fronte a se stesso “ se lo
inseriamo nelle vaste tematiche che toccano l’uomo, soggetto di studio, di
lavoro e di scoperte, può sembrare destinato a far maggiormente sentire un peso
nuovo a chi già è toccato dalla sofferenza, un peso più pungente della stessa
malattia, il peso del confronto.
Nel confronto che noi volessimo stabilire tra chi è privo della salute e quindi
condizionato e magari precluso anche nelle sue più profonde aspirazioni, e chi,
libero di sé, dispone come meglio crede della propria persona, dei propri
affetti e del tempo libero, il sofferente può realmente apparire, e può darsi
anche che egli stesso si senta, come escluso dalla società, un essere inutile a
cui ciò che si dà lo si dà per pura compassione.
La corsa al benessere e l’emancipazione da un sano controllo dei propri istinti
rendono più penose le condizioni di chi soffre, proprio perché il confronto in
questo caso si fa più marcato; da una parte esistono il lecito e l’illecito,
dall’altra, invece, mancano spesso perfino i presupposti per una umana e sociale
affermazione. Nel primo caso c’è l’emancipazione da qualsiasi legge, nell’altro
si stabilisce uno stato di dipendenza dalla buona volontà altrui che spesso
avvilisce e rende ancora più pesante la propria condizione.
Di fronte all’angoscia del confronto, il sofferente potrebbe anche cadere nella
più profonda disperazione o andare alla ricerca di evasioni con il ricorso a
compromessi che abbruttiscono ancora di più della malattia stessa e lasciano in
lui un vuoto desolato e desolante.
Il sofferente ha bisogno di sostegno
L’ammalato proprio perché toccato dalla sofferenza e quindi debilitato nelle
sue possibilità di scelta e di equilibrio, ha bisogno di sostegno, di indirizzo,
di una parola sicura che risponda agli angosciosi perché della sua sofferenza
per poter continuare a sentirsi un uomo maturo, libero, inserito in una società
che ancora ha bisogno di lui anche se ammalato.
Noi ci domandiamo: è l’attività assistenziale di tutti gli operatori di salute
in condizioni di poter andare incontro al sofferente e dargli non soltanto un
farmaco che guarisce, ma altresì un sostegno che lo aiuti a superare almeno il
momento cruciale dell’esistenza, quando cioè nella realtà attuale della sua
malattia, che in lui si stabilisce magari in forma permanente, si vede costretto
a fare un serio e sconcertante bilancia tra quel che era e le forze residue, tra
l’attività che svolgeva o avrebbe voluto svolgere e quanto può ancora fare?
L’ammalato vertice dell’assistenza sanitaria
Certamente in piano assistenziale — studio ed applicazione — l’ammalato è al
vertice di ogni attenzione: alleviare la sua sofferenza, aiutarlo a superare
fisicamente il periodo acuto della malattia è preciso proposito di ogni
operatore di salute.
In realtà però, volendo portare la nostra disanima fino in fondo, possiamo noi
sinceramente affermare che l’ammalato
è costantemente avVicinato dalle diverse categorie degli operatori di salute con
quella attenzione di rispetto, che è dovuta ad una creatura che non cessa di.
essere soggetto di azione
e di sostegno della società anche con la stessa morte?
Viene il sofferente sempre considerato nella sua unità personale ed inscindibile
di anima e di corpo?
La legge sanitaria italiana — legge quadro e leggi delegate — parte dal
presupposto del servizio che va reso all’uomo sofferente, non soltanto curandolo
nella lesione biologica, ma anche considerandolo nella sua integrità di creatura
composta di anima e di corpo, e quindi con esigenze fisiche e con esigenze
spirituali.
Ne viene naturale la deduzione che tali positive disposizioni riguardano non
soltanto i vari ministri di culto ma anche tutti coloro che 6perano negli Enti
Ospedalieri.
Ma possiamo noi ancora dedurre che la disposizione riguardante l’assistenza
spirituale sia da applicarsi unicamente allorché l’infermo è in pericolo di
morte?
No certamente, perché la legislazione sanitaria prevede per l’ammalato,
nell’ambito dell’assistenza controllata dallo Stato, un’assistenza spirituale
continua, che si estende per tutto il periodo della sua degenza, lungo o breve
che sia.
E tale assistenza va prestata dai Ministri del culto cattolico per i cattolici o
dai diversi ministri degli altri culti per gli acattolici.
Se lo Stato adunque considera l’ammalato nelle sue due massime componenti
costitutive di anima e di corpo, ciò significa che la stessa maturazione dei
tempi esige che quanti operano nell’ambito della salute individuale, e
collettiva tengano presente questo criterio essenziale dell’uomo, sancito dalla
legge, prescindendo dalle stesse concezioni filosofiche o di fede di chi
amministra, tutela o svolge l’opera assistenziale.
Difficoltà in cui spesso s’incontra l’ammalato
Dobbiamo qui per debito di verità, far rilevare che le massicce forme
materialiste dell’impostazione assistenziale del secolo scorso sono quasi del
tutto tramontate.
Altri sistemi e metodi sono però subentrati, che grandemente offendono e ledono
la dignità dell’uomo, che, posto di fronte a se stesso ed al proprio male,
ansiosamente cerca il perché del proprio dolore con la legittima aspirazione di
restare ancora soggetto attivo nella società.
Tra questi possiamo citare, sia pure in forma brevissima ed incompleta, i
seguenti:
1) la stessa tecnologia della diagnostica per il verdetto finale, che porta il
paziente di fronte allo specialista, il quale nel prestare la propria opera
specializzata non sempre ha dinanzi l’intero quadro della situazione del malato
nella sua complessità umana, familiare e sociale.
Sua Santità Paolo VI non esita ad affermare che i « progressi scientifici più
straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più
prodigiosa, se non congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si
rivolgono, in definitiva, contro l’uomo » (Paolo VI alla FAO, 1970);
2) il modo con cui viene svolta attualmente l’assistenza mutualistica, sia per
l’impossibilità in cui si trova il paziente di operare una scelta di
prestazione, sia per la molteplicità dei casi che si presentano al curante, il
quale finisce col trovarsi nella materiale impossibilità di intavolare con ogni
paziente un qualsiasi dialogo;
3) il paternalismo che sa tutto e provvede a tutto, senza minimamente adeguarsi
alla psicologia del paziente, il quale ansiosamente cerca di conoscere la verità
ed il perché di determinati interventi;
4) il naturalismo che mira a sollevare le pene fisiche senza badare affatto alle
esigenze dello spirito e spinge fino a tacere la verità, o talvolta a ricorrere
a menzogne pietose, anche quando si sa benissimo che umanamente il male ha un
decorso definito e catastrofico per l’organismo;
5) la falsa pietà dei familiari che si uniscono ai sanitari nella congiura del
silenzio e delle menzogne nei riguardi del proprio congiunto;
6) le condizioni stesse del lavoro che costringono le famiglie a dividersi,
separarsi, lasciando i membri più deboli e più bisognosi di cura, quali i vecchi
e gli incurabili, a carico dell’assistenza collettiva;
7) il materialismo pratico per cui l’individuo si crede autosufficiente.
Ideologia però questa che non regge, perché non può dare una risposta ai vari
perché della sofferenza;
8) la falsa accondiscendenza nell’accontentare chi soffre, concedendo quanto la
morale nega e precludendo in tale maniera il cammino per una seria e solida
impostazione di vita cristiana, che potrebbe liberare da tutti i complessi e
portare ad una vera maturità interiore;
9) una falsa concezione della libertà che, negli Enti Ospedalieri mira a
confondere l’idea della necessaria e legalmente dovuta attività religiosa con
l’attività politica, rendendo così più difficile e meno efficace un apporto
ministeriale che tornerebbe di ‘vero conforto a chi soffre.
Queste, in grandi linee, sono le componenti dinanzi alle quali l’uomo viene a
trovarsi allorché è colpito dalla sofferenza.
Impegno di aiuto
Se noi quindi vogliamo lavorare per risolvere convenientemente queste
situazioni di disagio nelle quali viene a trovarsi l’ammalato per i sistemi ‘e’
metodi sopra elencati, non solo dobbiamo risalire seriamente alle cause di tali
inconvenienti, ma anche farci portavoce di tali necessità verso l’opinione
pubblica, ed in ciò troviamo punti concreti di contatto, di indagine e di lavoro
che possono utilmente essere stabiliti tra l’UNAMSI ed il nostro Centro
Volontari della Sofferenza.
L.N.
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