Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
L’Ancora: n. 6/7 - giugno/luglio 1971 - pag. n. 3-6
LA VOCAZIONE DEL SOFFERENTE
III parte
(Dal volume “L’ammalato e il matrimonio” continuiamo nella pubblicazione di
alcuni passi fondamentali della conferenza “Sofferenza, mia promozione e
sviluppo” svolta da Monsignor Novarese)
Il sofferente innestato a Cristo, realizza e continua la vocazione del Cristo
ed acquista una particolare somiglianza con Lui, diventando vera Sua
trasparenza.
Ogni morte, avvenuta in Cristo è un sacrificio che si unisce al sacrificio del
Cristo ed ogni malattia che ci annienta sulla croce della lenta disgregazione
del corpo è un prolungamento della passione del Cristo, che viene continuata nel
tempo con le stesse ed identiche finalità, che il Cristo, Capo nostro, ha posto
ed ha vissuto. Sapienza del Cristo che scegliendo il dolore quale mezzo di
salvezza ha scelto un mezzo che è alla portata di tutti piccoli e grandi,
innocenti e peccatori, tutti ugualmente bisognosi di redenzione.
Come il pane è la materia più comune ed alla portata di tutti per il Sacrificio
Eucaristico così il dolore e diventato col Cristo il mezzo familiare, comune e
disponibile alla portata di tutti per poter bilanciare i peccati dell’umanità.
Bellezza del dolore, vivificato dalla grazia; sublimità di sacrificio che
maggiormente si inserisce in quello del Cristo specialmente quando le vediamo in
un corpo innocente.
Il dolore dei piccoli ha fatto bestemmiare i grandi, privi della vera sapienza:
non hanno compreso, questi l’amore del Cristo che ha tanto amato i piccoli da
renderli, proprio in forza della loro innocenza e del Suo amore di predilezione
particolarmente simili a Lui, Vittima innocente, in tutto simile a noi fuorché
nel peccato.
Anche gli innocenti portano le amare conseguenze della libertà malamente usata
dai nostri progenitori. Come non vedere nei piccoli le conseguenze del peccato e
l’amore infinito di Dio che li ha trasformati in ostie pure ed accette per la
purificazione del genere umano?
Chi potrà misurare i benefici frutti di un’innocenza immolata, vissuta magari
per un’intera e lunga esistenza senza avere mai forse potuto acquisire nemmeno
la consapevolezza delle proprie azioni?
Il Cristo con la Sua vita ha illuminato anche queste sofferenze che soltanto in
Cielo saranno consolate (cfr. Journet, il Male, 281).
Quanti peccati si commettono nel mondo di oggi con una ostentazione e con forza
disgregatrice impressionante; ma quanta sovrabbondanza pure di dolore a tutti i
livelli per poter bilanciare tanto male.
Il Cristo ha realmente beneficato tutti: ha raccolto le lacrime dell’intera
umanità; a tutti ha dato argomenti di conforto e di speranza, anche agli stessi
peccatori che, nella visione di tanto umano dolore, possono trovare motivo di
riflessione per un personale ritorno a Lui.
Col Cristo dolorante gli ammalati inserendosi e seguendo con la propria vita
sofferente la loro vocazione diventano i grandi benefattori dell’umanità; essi
ottengono ciò che i potenti della terra non possono e raggiungono e sostengono
nel proprio dolore l’intero popolo di Dio, facendo giungere su tutti i benefici
frutti della Redenzione.
Tare ereditarie, circostanze ambientali, cause particolari, dovute forse al
periodo stesso della formazione dell’individuo, cattiveria dell’uomo, possono
essere occasioni determinanti, segni e sigilli di chiamate, « titoli speciali
per avere maggiore partecipazione alla comunione col Cristo » (Paolo VI, 31
agosto 1967). « In tali creature allora si rispecchia in maniera più fedele
l’immagine di Cristo » (Lumen Gentium, n. 8).
Il fatto che sia l’uno o l’altro a portare la croce, nel concetto di umanità
chiamata a cooperare con Cristo alla Redenzione non ha nessuna importanza. Tutti
siamo invitati a rispondere al Cristo che ci chiama; tutti dobbiamo dare,
nessuno escluso, a scadenza più o meno lunga, il proprio contributo di dolore,
offrendo, con la propria vita dolorante, la possibilità al Cristo di essere
presente nel mondo con la continuità della Sua passione, misticamente vissuta
nella persona del sofferente.
L’umanità attraverso le cause seconde continua nel tempo la vocazione del Divin
Redentore fino a che la croce del suo ultimo figlio si incontri con la Croce del
Cristo trionfante che tornerà alla fine dei secoli per giudicare i vivi ed i
morti e per instaurare il tempo del trionfo delle beatitudini!
Se in proporzione alla personale partecipazione al piano redentivo possiamo
stabilire una gamma di « persone di fiducia », noi, accanto alla Corredentrice
ed agli Apostoli chiamati a testimoniare col martirio la verità del Cristo
Redentore, sicuramente possiamo porre i sofferenti di tutto il mondo e di ogni
età perché nessuno più di essi ha donato e dona se stesso per un’a società più
umana e più santa.
Giustamente Paolo VI, il 4 novembre 1963 ha detto:
« L’opera della redenzione non si compie nel mondo e nel tempo senza il
ministero di uomini votati, di uomini che mediante un’oblazione di totale carità
umana, attuano il piano della salvezza nella infinita carità divina. Questa
carità divina avrebbe potuto, se Dio avesse voluto, diffondersi da sé, salvare
direttamente da sé. Il disegno è diverso: Dio salverà in Cristo gli uomini
mediante un servizio di uomini. Dio non ha dato al mondo soltanto una
rivelazione, ma una religione; ha dato una Chiesa, una società organica, una
comunità articolata, dove alcuni fratelli operano per la salvezza degli altri
fratelli ».
Sublimità della inequivocabile vocazione del sofferente, perché da questa
vocazione trovano forza e sostegno tutte le altre.
L.N.
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