Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
L’Ancora: n. 9/10 - settembre/ottobre 1970 - pag. n. 1-4
LA SOFFERENZA SENZA CRISTO
Per le mani di Maria, custodire in noi la presenza di Cristo Signore.
Sovente si sente l'interrogativo, “so Dio c'è, perché ci devo essere il male?
Perché le cose debbono andare tanto alla rovescia? Perché c'è questa tolleranza
di offesa, di bestemmie, di peccati? Perché le
vicende umane non sono meglio regolate?” (Paolo VI, 13X11964).
Tutti perché profondi, angosciosi ed angoscianti che si agitano nel più profondo
dei cuore di ogni uomo e che, evidentemente, hanno un loro significato ben
preciso, quello, se non altro, di spingere l'umana ragione a cercarne la
soluzione non soltanto dentro di sé corn l'aiuto della ragione, ma anche al di
fuori di sé per vedere su quali realtà egli possa basarsi per una soluzione
chiara e convincente.
Sovente la creatura che non riesce a scoprire una soluzione ai problemi che la
tormentano finisce coi cadere nella tentazione dei più tetro fatalismo, come se
tutto fosse retto e governato da non si
sa quale artefice crudele. Le varie teorie filosofiche di moda antica e recente,
come ad esempio il razionalismo, l'illuminismo, il materialismo ed il
naturalismo pur partendo da principi totalmente opposto tra loro, non soltanto
dicono proprio nulla su tali problemi fondamentali ma per quanto riguarda i1
dolore o le conseguenze della malattia portano e conclusioni ed applicazioni
raccapriccianti, come ad esempio la selezione razzista, l’eliminazione dei
menomati, in Cina, oppure lo sfruttamento della sofferenza per un'attività
politica come in Russia. Considerando la genesi, lo sviluppo e l'applicazione
delle tante teorie ateistiche, facile e sicura è per lo meno una conclusione:
l'uomo ha sempre preso di mira tali problemi e mai è riuscito a darne
un'impostazione convincente, non avendo egli in se stesso la possibilità di
vincere e superare il dolore. Certuni arrivano ad affermare che la presenza dei
dolore nella vita dell'umanità ed in modo particolare la presenza dei dolore
Innocente o attestano l'assenza di Dio o dicono, addirittura, la presenza di un
Dio tiranno e sadico che gioisce nella visione di tanta sofferenza. Non di rado
però questi pensatori così strani nel loro modo di pensare, terminano la propria
esistenza con un grido di disperazione e di ricerca di quel Dio che non hanno
voluto riconoscere, vedi Nietszche nel dialogo tra Zarathustra ed il vecchio
mago. Tutte le suddette teorie concordano nel sostenere che l'uomo deve vivere
alla giornata, senza alcun vincolo e limitazione morale perché tutto termina con
la cessazione della vita. La denuncia però della propria impossibilità a
risolvere un problema, non dice che Il problema non debba essere affrontato e
risolto. Ben a ragione, dunque, l'umanità scossa da ammirazione per le suo
scoperte e la sua potenza, agita però spesso ansiose questioni sull'attuale
evoluzione dei mondo, sul posto e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso
dei propri sforzi Individuali e collettivi, ed ancora sul fine ultimo delle cose
e degli uomini”. (Chiesa nel mondo contemporaneo).
E questo perché in tutti i vari sistemi filosofici che escludono un Dio
creatore, perfetto, provvido e, per di più, Redentore, non danno nessunissima
risposta al grande problema della sofferenza che continua ad essere aperto. E'
vero che “l'uomo non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose al di sopra di
noi, Indipendentemente dalla nostra volontà e della corporali ed a considerarsi
più che soltanto una particella della natura, o un elemento anonimo della città
umana”. (Chiesa nel mondo contemporaneo, 14), ma riconoscendosi re del creato,
dotato di una sete insaziabile di perfezione, deve, per logica conseguenza,
entrare nella profondità dei proprio cuore e risalire dalle realtà visibili alle
realtà invisibili ed a scrutare nelle profonde ed incancellabili linee della
storia dell'umanità se Dio abbia o no allacciato un dialogo con la creatura ed
abbia o no dato una risposta al tanti perché che torturano l'umana esistenza.
Nella foschia, risplenda la luce del Cristo che illumina la via L'uomo che
voglia risolvere da solo i propri problemi e destini finali dimostra che è una
gran povera creatura che, mentre depreca il dolore e gli va magari storicamente
Incontro, non soltanto resta sempre un vinto senza speranza, ma dà
testimonianza, proprio con la stessa ragione che non vuole ammettere Dio. che
egli ha In se stesso, sia pure non usandole rettamente, facoltà spirituali
capaci di sintesi e di astrazione che animano il suo corpo e che non possono,
per conseguenza, essere giudicate alla stregua delle cose che si vedono e che si
toccano.
Proprio, queste realtà spirituali Interiori devono convincere l'uomo a guardare
verso l'alto e a ricercare, almeno in forza di un dubbio prudente, se al di
fuori di lui può trovare la risposta ai tanti perché che lo assillano.
L'universalità poi, di un'intima ed inestinguibile sete di continua ricerca di
perfezione umana e sociale, di un Dio creatore e reggitore di ogni cosa, di una
vita perenne oltre la tomba, non è ancora una prova suadente che dobbiamo
allacciarci a qualcosa che deve venire dal di fuori di noi, ma che già ha le sue
radici in noi e che ci renderà, quale frutto della sua scoperta, creature nuove,
con possibilità Interiori nuove, tali da conseguire quanto con precisione e
verità avvertiamo con tanto raccapriccio dentro di noi?
Non credendo l'uomo al Messaggio di salvezza dei Cristo e non accettando la Sua
parola che lo libera da qualsiasi legame e gli schiude orizzonti nuovi, “la
libertà umana viene lesa in maniera assai gravemente e gli enigmi della vita e
della morte, della colpa e dei dolore rimangono senza soluzione, tanto che non
di rado gli uomini sprofondano nella disperazione”. (La Chiesa nel mondo
contemporaneo n. 21). “In faccia alla morte l'enigma della condizione umana
diventa sommo. Non solo si affligge l'uomo al pensiero dell'avvicinarsi del
dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per li
timore che tutto finisce per sempre” (La Chiesa nel mondo contemporaneo n. 18).
E' in realtà una constatazione di fatto e da tutti accettata che il dolore è in
se stesso essenzialmente qualcosa di negativo, di antinaturale; un male che per
quanto possibile va debellato, una “disperata inutilità” (Paolo VI,
27.111.1964).
L'impostazione naturalistica e materialistica dell'esistenza sovente denuncia
con i suoi terribili risultati, di cui le cronache sono piene, le sue falle
enormi e disastrose, che portano l'uomo alla più catastrofica disperazione; con
la morte si cerca di sfuggire il dolore, pensando di sprofondare nel nulla,
dimentichi che la seconda componente della vita dell'uomo, l'anima, non può
morire. Non possono le varie teorie filosofiche e le più stravaganti
impostazioni odierne dei modo di vivere, distruggere, sminuire, o anche
momentaneamente ritardare le ineluttabili e somme realtà che esistono nostra
accettazione o meno; l'uomo non può condizionare Dio e Dio è l'unica realtà che
veramente ci interessa. E' certamente la sofferenza una ferita alla natura
umana, di cui, senza la parola di Dio non si sa nè l'origine nè il perché e quel
che è peggio non si sa come curarla. Rettamente giudice l'istinto dei cuore,
quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina di annientamento
definitivo della persona. Il germe dell'eternità che l'Uomo porta in sé
irriducibile com'è alla sola materia insorge contro la morte. “Tutti i tentativi
della tecnica, per quanto utilissimi non riescono a colmare le ansietà
dell'uomo; il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel
desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore” (Chiesa
nel mondo contemporaneo n. 18). E la Chiesa tradirebbe la sua missione se
lasciasse l'uomo nella illusione che la felicità, sia pure raggiungibile, dei
benessere, è sufficiente al destino al quale è rivolto la vita dell'uomo e che
questa non comporta ben altre esigenze che quella che il benessere culturale ed
economico moderno può soddisfare.
“Tutti sappiamo come l'edonismo conduce l'uomo a fermarsi entro confini di se
stesso, a non superarsi, come sarebbe suo radicale destino e perciò ad
accrescere senza fine i suoi desideri, anzi a soddisfarli e livelli gradualmente
inferiori alla propria statura razionale, eretta verso la misteriosa
trascendenza religiosa; a cercarne l'insaziabile compimento nelle più degradanti
passioni, nello smarrimento dei fini superiori, nel vizio e nella angoscia”
(Paolo VI, Ceneri, 11.3.1970).
L. Novarese
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