Venerabile Mons. Luigi Novarese - Scritti editi:
L’Ancora: n. 3 - marzo 1952 - pag. n. 1-3
PRODUTTIVITA' DEI SOFFERENTI
Il Santo Padre nel suo recente Radio-messaggio al popolo di Roma - 11
febbraio u.s. - ha delineato, nella luce della sua infallibile missione di
pastore, il piano di ricostruzione sociale, che unico e solo può procurare il
vero progresso e assicurare una pace duratura.
Nel discorso dell'augusto Pontefice tutti i fedeli sono chiamati all'azione.
Nessuno può restare spettatore di un mondo che va sgretolandosi per anemia
spirituale, per mancanza di quella vita divina a cui siamo stati innestati con
la grazia.
In modo però del tutto particolare sono stati chiamati all'azione i sofferenti.
« Vi sostengano, dice il Papa ai fedeli, i dolori accettati ed offerti dai
sofferenti ».
Notate la parola « vi sostengano ».
Tu, fratello che soffri, hai il compito di sostenere, come Mosè sul monte, gli
altri fratelli, che combattono contro il potere delle tenebre.
Forse, non hai mai pensato che la tua debolezza, il tuo dolore, le tue notti
insonni possano essere energia per la Chiesa.
Nel piano delineato dal Santo Padre, tu hai un posto di preminenza. Non sei
spettatore passivo ed inutile di un nuovo riordinamento sociale, quello voluto
da Cristo, bensì sei la base che deve sostenere tutta la ricostruzione
dell'edificio.
Gesù si è immolato per tutto il genere umano. Da Lui tutti hanno attinto, in Lui
tutti trovano luce, forza per conseguire il fine ultimo: Dio.
Se vogliamo che il mondo si converta e cessino tutti gli odi che dividono gli
animi, bisogna che gli ammalati facciano il loro dovere di sostenitori.
Come tutti i fedeli hanno un dovere di coscienza di rispondere all'invito del
Santo Padre, così l'ammalato ha il dovere di assolvere al suo compito di lavoro.
L'infermo dunque che non dà alla sua sofferenza una impostazione secondo la fede
è un disertore del lavoro sociale che dovrebbe svolgere e che invece non svolge.
Per questo mi compiaccio - dice San Paolo - nelle mie infermità, negli oltraggi,
nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angustie per Cristo: perché quando
sono debole allora sono potente.
Nel dolore Cristo ha redento il mondo; nel dolore i sofferenti continuano a
donare vita attorno a sé e generare le anime alla vita della grazia.
Ma ci sono fanti sofferenti che imprecano alla propria sorte, che chiudono il
proprio cuore ad una vita di corredenzione col Cristo e con la Vergine
Immacolata questi sono tralci separati dalla vite, questi sofferenti sono
inutili a sé e alla società.
Non è la malattia che ci rende inutili. E' la nostra volontaria inoperosità
nella malattia stessa che ci rende tali.
L'ammalato acquista ed aumenta la propria produttività soprannaturale, vivendo
la vita della grazia ed aumentandola con le opere buone.
E' questa una grandissima realtà di cui, purtroppo, si parla troppo poco.
La Madonna in tre apparizioni, scegliendo soltanto Lourdes, Fatima, Banneaux,
parla della valorizzazione della sofferenza e degli ammalati.
L'ammalato che vive in peccato è come un soldato che tenga il fucile in Mano
senza sparare contro il nemico.
Il sofferente che tenga il cuore racchiuso nelle passioni e adagiato nel
peccato, è indegno di appartenere a questo secolo, in cui il problema del lavoro
e della produttività è all'ordine del giorno.
Tutti devono lavorare, anche l'ammalato. Ogni uomo lavora nel proprio campo.
L'operaio nel campo dell'officina, l'ammalato nel campo della grazia. Solo così
l'ammalato può dire al termine della sua giornata di dolore: « ho lavorato ».
Non è il tempo di mendicare compatimenti sterili, di sospirare e di correre
dietro ai sogni. Un solo compito, una sola meta si impone a tutti gli individui:
salvare il mondo.
Guai a noi se non ci fossero i sofferenti. Guai però altresì a noi se i
sofferenti non intendessero questo linguaggio crudo, ma quanto mai
costruttivo.Un bimbo a Lourdes alla processione del Santissimo Sacramento
rispose così alle invocazioni del sacerdote:
- Signore che io non veda, ma che mio padre creda.
Vivere da soli in grazia è già molto, ma non basta. Bisogna attirare tutti i
fratelli sofferenti a riempire con la loro produttività le lunghe ore di ozio
snervante ed obbligatorio, imposto dalla malattia stessa.
Lo sforzo nostro sia pari alle necessità dell'ora.
E' sempre poco quello che facciamo. E dopo avere pregato, sofferto magari
nell'isolamento e nell'incomprensione diciamo pure:
- Siamo servi inutili. Potevamo fare di più.
Questo è sempre vero: potevamo lare di più almeno nell'amore che non ha limiti
d'intensità e nel desiderio che non conosce confini.
Quando noi conquistiamo un altro sofferente aumentiamo la nostra forza
costruttrice.
Sia la nostra massima preoccupazione essere strumenti utili nelle mani di Dio.
Cerchiamo di imitare, anche in questo, la nostra Mamma celeste, la quale,
condividendo col Cristo la passione, non soltanto rimase vicino alla Croce del
suo adorabile Figlio, ma con sé attirò pure Giovanni, l'Apostolo prediletto, e
le altre pie donne.
Solo così l'umanità troverà la sua via e si avvierà verso un vero e duraturo
progresso.
L. N.
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